Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
Si dice spesso che il problema delle Istituzioni di fronte all’attuale rivoluzione dei modelli di comunicazione sia quello di trovare (o ritrovare) la voce. Una metafora certamente efficace e che anche negli ultimi incontri dell’International Communication Summit è circolata con particolare insistenza.
Il fatto è che la voce, tanto più quella dei soggetti pubblici, non è mai “una”. Al contrario, come ci ricorda Ben Hammersley, conviene sempre parlare di plurime voci. Non solo perché le istituzioni sono tante, almeno quante le dimensioni di un mondo inesorabilmente “glocal”; ma perché ciascuna, oggi, è chiamata a mostrare diversi lati di sé ai molteplici interlocutori, ognuno col proprio diritto di dialogare, ascoltare, ribattere in prima persona.
Quello che serve, allora, è un nuovo esperanto per muoversi all’interno di questo rinato regno di Babilonia, dove le voci non solo si moltiplicano, ma si mescolano e si ibridano creando linguaggi “terzi”, lessici creoli, con un codice genetico del tutto rinnovato.
Imparare questi nuovi linguaggi e diffonderli nel corpo della società è la sfida delle Istituzioni di oggi, facendo del mito di Babele non più l’archetipo dell’incomprensione, ma il prototipo di una vera intercomunicabilità.