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Comunicare la scienza, tra sharing innovation e valori collettivi

Il valore sociale della scienza, nell’era della sharing economy, è più che mai evidente. Ma per permettere che si liberi appieno occorre anche saperlo comunicare, superando semplificazioni e rigidità informative in nome di una circolazione “viva” nel corpo della società

Nell’era della conoscenza, anche la scienza è diventata un valore; un asset come un altro, sottoposto agli stessi vincoli, primo tra tutti quello di essere controllato e protetto, a uso e consumo di chi intende farne uso e profitto.

Una logica che si ribalta quando si parla di comunità e di bene collettivo, per il quale, è evidente, la scienza “vale” tanto più quanto la si mette in grado di circolare nella società. Emerge allora un metro opposto, quello della comunicabilità: la capacità di essere condivisa, distribuita, fatta fruttare, secondo il principio neo-illuministico della sharing innovation.

Comunicare la scienza significa allora saper distinguere tra informazione e divulgazione, superando le idiosincrasie di entrambe. Non limitarsi a somministrare conoscenza, né a semplificarla, nel nome di una pura erudizione o curiosità, ma renderla indefinitamente trasferibile, liberandone così il potenziale effettivo.

Perché è qui che si misura il valore “pubblico” della conoscenza: negli effetti che riesce a creare e moltiplicare, in termini di azioni e retroazioni sociali, nella dimensione “minore” del quotidiano, grazie al motore formidabile della condivisione. 

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