Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
Erano gli anni ‘80 quando Carlo Petrini iniziava a parlare di sostenibilità alimentare, consumo responsabile e biodiversità. Era l’epoca d’oro del consumismo e Petrini si muoveva come un pioniere di un nuovo modo di “pensare il cibo”, che allora pareva al limite dell’utopia e che oggi, nel giro di trent’anni, è diventato quasi un luogo comune: un’idea largamente abbracciata e condivisa, in certi casi persino abusata. Lo dimostra il successo del tema di Expo 2015, che non a caso ha visto il padiglione di Slow Food (l’organizzazione fondata dallo stesso Petrini) tra le mete principali dei visitatori.
Sulla necessità di operare un vero e proprio “salto di paradigma” nelle politiche alimentari, del resto, Petrini aveva parlato qualche tempo fa in una lunga intervista per ICS Magzine, in cui ricordava i guasti dell’attuale sistema alimentare, da cui deriva “un vero e proprio sconquasso in termini ambientali e sociali, di proporzioni inimmaginabili”.
“Questo sistema alimentare – spiegava – è responsabile della perdita della fertilità dei suoli, sempre più depauperata, nonché della impressionante crescita della domanda d’acqua, che con ogni probabilità è destinata a generare situazioni di conflitto. Nel prossimo futuro sarà l’acqua, e non il petrolio, a scatenare le guerre”. Una visione, quella di Petrini, che oggi torna più che mai attuale, insieme alla sfida che sottintende: quella di superare il modello dell’iperproduttivismo, in nome del benessere comune.