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Territori immaginari: la città, motore simbolico di identità

Nell'epoca della convergenza tra spazi reali e virtuali, le identità cercano di nuovo appiglio nel territorio fisico e simbolico della città. Una tendenza che si riflette nel city branding, sempre meno rappresentativo e più astratto. E proprio per questo, forse, ancora più potente

Viviamo in un mondo dove il confine tra spazio reale e virtuale è ormai inevitabilmente sfumato.  La maggior parte delle nostre interazioni si svolge online, in luoghi che, per intensità di interazioni sociali e simboliche, sono ormai da considerarsi come spazi “abitati” e abitabili nel senso stretto del termine.

Eppure, come ci ha spiegato Arjun Appadurai, più gli spazi virtuali diventano reali, più le identità individuali e collettive sembrano cercare appiglio in entità fisiche e percepibili come il territorio. E in questo processo la città, da sempre collettore identitario di grande potenza, torna a occupare un ruolo centrale.

L’evoluzione del city branding riflette bene le dinamiche in gioco.  I marchi “rappresentativi”, basati su elementi figurativi immediatamente leggibili – landmark, monumenti, tratti geografici caratteristici – sono sempre più rari.  Crescono invece gli esempi di brand astratti e concettuali,  fatti per sorprendere i sensi e, al tempo stesso, esprimere valori identitari più impalpabili, ma non per questo meno solidi e “reali”.

Così faceva del resto anche il “padre” di tutti i city brand, quell’I love NY ideato da Milton Glaser quarant’anni fa, che si conferma più che mai pionieristico e innovativo. Essenziale e pulito, sorprendentemente vicino, nel suo mix di verbale e visivo, allo stile infografico oggi così diffuso, eppure assolutamente “aperto” a mille interpretazioni e identità. Grazie alla capacità di raccontare, più che un luogo, un sentimento di appartenenza. Anche ben oltre i confini fisici della città.

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