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Musica, ovvero il linguaggio interculturale

Linguaggio universale e voce di Istituzioni e comunità, la musica può tornare a essere un efficace strumento di “comunicazione pubblica”. Purché rafforzi la sua vocazione interculturale facendosi mezzo di comprensione reciproca tra i popoli

Qualche tempo fa, durante la prima edizione di ICS Europe, parlando della grande complessità che spesso si cela dietro all’impressione di semplicità nell’arte, la scrittrice bestseller cinese Jung Chang citava come esempio Mozart e la sua musica: “la più difficile da suonare, proprio perché così sublimemente semplice”.

La riflessione porta dritto al cuore della funzione comunicativa della musica, uno dei mezzi di espressione più immediati e potenti. E questo grazie a una caratteristica ben precisa: quella di essere un linguaggio “senza significato”, fatto solo di ritmi, timbriche e intensità, a cui ciascuno può associare i sentimenti e le visioni più personali.

Questa estrema idiosincrasia però non ha impedito che intorno alla musica si raccogliessero significati collettivi: immagini ricorrenti, idee condivise, fino a vere e proprie “narrazioni sociali” – basti pensare soltanto agli inni e al loro indubbio valore politico-simbolico.

Una funzione “civile” che oggi, in un mondo sempre più interconnesso, può essere rinnovata e rilanciata, rafforzando la vocazione universale della musica e facendone un mezzo di comunicazione transculturale. A vantaggio dei cittadini, certo, ma anche delle istituzioni alla ricerca di nuove forme di rappresentatività e nuovi modi, più autentici ed efficaci, di parlare al cittadino globale. 

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