Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
Può sembrare un paradosso, ma in fondo ha una sua logica: in tempi di crisi, come quelli in cui viviamo ormai da tempo, il consumo culturale e in generale il bisogno di un arricchimento diverso da quello materiale cresce.
La ragione sta probabilmente non tanto in una banale “voglia di distrazione”, quanto piuttosto in un meccanismo più profondo e raffinato. Laddove infatti la logica del consumismo materiale decade, si riscopre una semplice verità: fatti salvi i beni primari, che restano inalienabili, i beni immateriali sono, per definizione, i più durevoli. E gli investimenti in cultura, di conseguenza, i più lungimiranti.
Si spiega così anche l’interesse crescente di Istituzioni e privati nel settore dell’heritage. Il patrimonio culturale è anzi il grande tema emergente di questi anni, soprattutto in termini di politiche e finanziamenti europei. Ma soprattutto, è una questione di enorme interesse per la comunicazione, in particolare per quella pubblica.
È chiaro infatti che comunicare il patrimonio artistico e culturale ha un immediato riscontro economico, in termini di turismo e di servizi connessi, ma non solo. Perché arte e cultura non sono solo oggetti di comunicazione; sono strumenti di comunicazione essi stessi.
Perché valorizzare il patrimonio significa valorizzare l’identità e il senso di appartenenza. Significa costruire o rafforzare comunità. Significa trasferire su altri oggetti e altre dinamiche, più prosaiche e concrete, la forza evocativa, estetica ma anche morale, dell’arte. Significa dare corpo a un’idea e renderla percepibile attraverso il linguaggio universale della bellezza. Lavorare su questa magia, rendendola fattore di sviluppo senza disperderne il valore immateriale, è una delle grandi sfide a cui l’Europa è chiamata.