Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
C’è stato un tempo in cui a parlare di universalità culturale si rischiava di essere tacciati di conservatorismo, se non addirittura di tendenze reazionarie. Perché il Novecento è stato il secolo della diversità e dell’interculturalismo, della relatività e delle autodeterminazioni: rivoluzioni vitali e a lungo attese, ma ancora, in qualche modo, più “immaginate” che realizzate.
Totem indiscusso della postmodernità, la diversità è stata per decenni argomento di grandi discussioni e pensieri, con la comunicazione spesso al posto d’onore, ora come imputata, ora come giudice o vittima, ma comunque come chiave determinante del processo di differenziazione e legittimazione culturale in corso.
Eppure è solo oggi, in questo inizio travagliato di terzo millennio, che l’interculturalismo è diventato una realtà, un fatto concreto con cui avere a che fare, nel bene e nel male, ogni giorno; non un ideale o una teoria. Così oggi parlare di fondamentali culturali assume un valore nuovo, a diversi livelli: per l’Europa, mai come ora impegnata a cucire insieme contesti “così vicini, così lontani”, e per il mondo, alle prese con le manifestazioni degenerate di una diversità drammaticamente forzata.
Vale allora la pena, forse, tornare a chiedersi quali sono, se ci sono, i fondamentali del linguaggio, le costanti della comunicazione che vanno magari al di là della comprensione linguistica in senso stretto, ma toccano le abitudini, i comportamenti e le regole del vivere insieme. Cercare, come abbiamo fatto nell’ultimo Oscar Pomilio Forum, l’essenza dell’essenza dell’essere umano. In una parola, i valori immutabili. Da cercare nei luoghi più disparati – nell’arte come nel diritto, nel gusto come nella memoria – e riscoprire insieme.