Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
La felicità al potere, con buona pace dell’immaginazione di sessantottina memoria. Il titolo del nuovo libro di José Mujica, noto ai più come il “presidente della felicità”, impone qualche domanda sul senso stesso di ciò che oggi consideriamo rivoluzionario.
Utopia per utopia, in questo cambio lessicale c’è infatti tutta la misura del cambiamento culturale intervenuto nell’ultimo mezzo secolo. Si potrebbe dire che all’ideale collettivo si è sostituito quello individuale, se non fosse che questa nuova mitizzazione della felicità non ha nulla di epicureo.
Perché di felicità di popoli si parla, prima di tutto. Di benessere collettivo ed modelli alternativi per misurarlo, come il FIL inventato dal Buthan o il World Happiness Report dell’ONU, che include, ad esempio, indicatori come il livello di corruzione o le aspettative di vita.
Ideali che impongono un ripensamento di ruolo alle Istituzioni di ogni taglia – è italiana, ad esempio, l’idea tutta “locale” di un assessorato alla felicità – chiamate a rispondere a nuovi bisogni e nuove necessità, come quella dell’accesso alle informazioni e la loro piena fruibilità da parte di tutti. Confermando che anche la comunicazione è tanto più “felice” quanto più riesce a essere vicina al cittadino, ogni giorno.