Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
“C’è una cosa che – quand’anche la giudicasse essenziale – nessun movimento studentesco, rivolta urbana, contestazione globale o che sia, potrà mai fare. Ed è invadere un campo sportivo alla domenica”. Nel 1973, in un libro poco conosciuto intitolato "Costume di casa", Umberto Eco rifletteva su vizi e virtù dell'Italia dell'epoca e tra queste un posto d'onore viene riservato allo sport.
Argomento che non passa mai di moda, ma che in questo periodo, appena dopo la chiusura degli European Games di Baku, prove generali delle prossime Olimpiadi di Rio, torna particolarmente attuale dal punto di vista comunicativo. Lo sport infatti rappresenta, per dirla con Eco, l'unica area del vivere comune “che nessuno, o per convinzione o per calcolo demagogico, acconsentirebbe a toccare”: una sorta di area simbolica protetta, una “riserva di senso” collettivo che non può essere messa in discussione.
Lo sport insomma è un grande connettore di significati, un catalizzatore di simboli, che permette a chi è chiamato a parlarne una grandissima variabilità creativa e inventiva, ma che soprattutto può essere un formidabile veicolo di identità e di riconoscimento, portatore di valori fondamentali per il vivere comune: disciplina, gioco, competizione, ma anche e soprattutto condivisione. Una potenza che fa dello sport una infinita fonte narrativa, in ogni tempo e cultura. E di ogni sua storia, anche la più piccola, la storia di tutti.