Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design.
Un tempo, l’Italia è stata la capitale Europea del design. Originalità, coraggio e sperimentazione si univano al tradizionale senso dell’eleganza del nostro Paese, plasmato da secoli di arte e da una antica venerazione del “bello”.
Oggi che i mezzi digitali permettono di immaginare prodotti e usi prima impensabili, il concetto di design si è fatto più ampio, oltrepassando i limiti della progettazione fisica. Esiste un design del pensiero e delle idee, che precede ogni creazione materiale e che costituisce la base di ogni vera innovazione.
In questo, l’Italia ha perso ampiamente il suo primato. La spinta alla progettazione ha lasciato il posto all’ottimizzazione, alla resa migliore di ciò che già esiste. Ma la creatività non è mai creazione ottimale. Al contrario, nasce da un limite, da un’imperfezione, e si ingegna per superarla. E il sublime non è mai perfetto, ma pieno di punti di fuga, disequilibri, aperture.
Nell’arte questo è vero da sempre: il sublime non è mai perfetto, ma pieno di punti di fuga, disequilibri, aperture. Basta pensare alle prospettive imperfette del Salone dei Cinquecento di Palazzo Pitti a Firenze, sede del primo G7 della Cultura ospitato dall’Italia.
Ma vale anche nei campi più diversi e inattesi. Prendiamo lo sport, a suo modo, una formidabile arte del fare. Come ha raccontato Kareem Abdul Jabbar durante l’ultimo Oscar Pomilio Blumm Forum, il suo “gancio cielo” nasce da un limite, da un divieto. Una soluzione nuova per aggirare una regola creata appositamente per lui. E che lui ha aggirato progettando un gesto immarcabile, innovativo e creativo.
È questa creatività che l’Italia dovrebbe ritrovare, per ritrovare allo stesso tempo anche la via del proprio futuro. Perché di idee non vive solo il genio, ma la comunità intera. E attraverso le idee la collettività cresce e si espande, facendosi forza dei propri limiti per convertirli in nuove possibilità, tutte ancora da immaginare.